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Eventi di S. BIANCHI del 19/06/2017 06:56:40
Giuseppe “Bino” Hess

 

La Juventus conquista il primo titolo nazionale nel 1905, ma all’inizio della stagione seguente, per il malanimo della maggior parte dei soci verso il dittatoriale presidente Dick, questi fu messo in minoranza e abbandonò il sodalizio, seguito da un gruppo di suoi dipendenti, e fondò il Torino. Dopo la diaspora, la presidenza toccò a Varetti, e furono tre anni di stenti, spesso con la difficoltà a mettere in campo undici uomini. Poco cambiò con Ubertalli alla presidenza, anzi, giunti ultimi, avremmo dovuto giocare nella serie inferiore se la Juventus non fosse stata iscritta nel girone lombardo, mancante di una squadra. E’ in questa stagione che Hess divenne presidente bianconero: la sua managerialità migliorò sensibilmente le sorti della squadra. Ma incombeva la Grande Guerra: Hess partì volontario e la gestione della poca attività sportiva esercitata nel periodo fu affidata al triumvirato Armano, Nizza e Zambelli. Nel frattempo, nel 1909, Dick era morto suicida, sparandosi alla testa.

Giuseppe Edmondo Hess, detto “Bino” (“Pino”, per altri), prima di essere presidente della Juventus ne aveva indossata la maglia come terzino, prima nelle giovanili, poi nella Juventus II, dal 1904 al 1908 e, dopo un anno nell’US Milanese, nella prima squadra bianconera fino al 1912, con ventisette gare giocate in prima squadra. La famiglia, tedesca di origine, si era trasferita a Torino, dove “Bino” è nato nel 1885. Era un ragazzone di un metro e novantatré e non è stato un campione, ma chi lo era, allora? Per il fisico possente era soprannominato “Tuclumac” (toccalo appena?). Studente del D’Azeglio, come altri ragazzi bazzicava la storica panchina di Corso Re Umberto e il suo appartenere alla squadra rincalzi, non significava essere meno bravo, ma solo essere più giovane. Allora si studiava o si lavorava, e quegli eroici pionieri si allenavano come e quando potevano, per quelle partite di campionato che non erano mai più di una diecina a stagione. Con la Juventus II, Hess vinse l’unico titolo della sua carriera bianconera, cioè il Torneo di Seconda Categoria del 1905.

Intervistato da Caminiti (da “Juventus 70”) sentite proprio da Hess com’è nata la Juventus. In Piazza d’Armi «conoscemmo un tipo strano, si chiamava Dobbie, faceva il dentista e nel molto tempo libero di cui disponeva… giocava a football… Un giorno venne a offrirci l’opportunità di acquistare un pallone nel negozio Principe di Galles in Via Barbaroux gestito da uno con barbetta, certo Jordan. Un pallone inglese di Nottingham. L’unico guaio era che costava un’enormità: sessanta lire. Decidemmo di fare una colletta tra noi per racimolare le sessanta lire. Non ce lo dava per un centesimo in meno. Ricordo quando scomparve nel retrobottega e riapparve davanti a noi con il pallone di Nottingham giallo lucente tra le mani. Io riuscii a farmi dare dieci lire da mio padre. Tutti insieme raggranellammo la cifra e andammo a comprare il pallone. È un tesoro, disse Canfari e ci vuole un tesoriere. Nominammo tesoriere Molinatti che aveva pure il compito di gonfiarlo… Così nacque la Juventus, su quella panca con quel pallone».

Dalla stessa fonte (grazie, Vladimiro!), ecco cosa significava essere bianconeri. «Io al ginnasio ero considerato un gorba noioso. Non c’erano ancora i tram elettrici, qualcosa bisognava fare. Nel 1901 ero liceale, entrai nella Juventus facendo parte della squadra riserve… Essere juventino era un favore, un onore. Bisognava essere persone serie per essere accettati come soci. Il Direttivo della prima Juventus era sanamente democratico, c’era un Mazzonis, famiglia tra le più ricche di Torino, che andava sottobraccio a un Moschino, fattorino telegrafico, portava i telegrammi insomma… Il sentimento era questo. E si stava insieme e alle otto di sera del sabato si partiva per andare a giocare fuori Torino, a Genova o Milano. Ed io mi dovevo contorcere davanti a mio padre per strappargli venti lire… Io facevo lo stupido per ore per giorni, finalmente me le dava, allora correvo davanti alla panca di Corso Re Umberto e gridavo: “Ci sono!” Partivamo anche alle sei del mattino, in omnibus, costava meno e portava le terze, c’era con noi Forlano, il centravanti, Canfari era sempre allegro, un bonaccione, ricordo perfettamente Forlano, Luigi si chiamava, orfano, mantenuto da un fratello che gli diceva: sì ti mantengo, ma non ti pago il football! E non gli dava la chiave di casa. Così per partire con noi doveva dormire il sabato sera per le scale. Noi andavamo a svegliarlo, e dovevamo anche massaggiarlo perché era tutto pieno di dolori per l’umidità presa. Poi gli davamo da mangiare e finalmente si sentiva meglio e partivamo! Anche lui è morto in guerra come Canfari…».

Bino Hess è morto poco dopo l’intervista rilasciata a Caminiti: era il 19 giugno 1967, giusto cinquant’anni orsono.

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