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Eventi di S. BIANCHI del 17/08/2017 10:26:11
Flop e doppio flop

 

Il flop di mercato è l’acquisto, magari a caro prezzo, di qualche giocatore di belle speranze che in seguito si riveli una vera e propria schiappa. Anche un mago come Moggi comprò, per di più tra mille ostacoli, un certo Athirson. Il doppio flop è più grave del precedente, e consiste nell’acquistare un altro giovanotto promettente ma rivendendolo rapidamente, considerandolo un brocco, quando costui si rivelerà un campione nella nuova squadra. Campione mondiale di flop e doppio flop è Moratti: basti, per tutti, l’esempio della svendita di Roberto Carlos al Real Madrid.

Negli ultimi anni, l’unico doppio flop nostrano è quello che ha riguardato Thierry Henry. Il francese, originario delle Piccole Antille, arriva a Torino a stagione 1998/99 inoltrata, acquistato da Lucianone nostro per sopperire all’infortunio che Del Piero aveva subito a novembre. Che annataccia quella, per la Juve: sconfitta in Supercoppa Italiana, un percorso stentato in campionato, l’eliminazione ai quarti di Coppa Italia, una qualificazione rocambolesca alla fase a eliminazione diretta della Champions (eliminata poi ai quarti dal Manchester Utd), le dimissioni di Lippi a febbraio, la sconfitta con l’Udinese nello spareggio per la partecipazione alla Coppa UEFA e l’umiliazione della partecipazione alla Coppa Intertoto.

A gennaio, l’arrivo di questo ventunenne già campione mondiale con i Bleus e vincitore di un campionato francese col Monaco, non sortisce effetti. Ancelotti non capisce di avere per le mani un’arma nucleare e lo utilizza come avesse a disposizione una bombetta a mano da esercitazione. Laterale di centrocampo è il ruolo in cui il francesino è sacrificato da Ancelotti, dopo le poche gare in cui Marcello Lippi l’aveva schierato all’ala sinistra. E Moggi, anche per qualche lamentela di Henry, pensa bene alla plusvalenza, e a fine campionato, dopo sedici presenze e tre reti, lo cede all’Arsenal.

Nei Gunners, Wenger lo impiega immediatamente come centravanti, e i risultati gli danno ragione: dopo un periodo di ambientamento inizia a segnare gol a grappoli, a fornire assist a ripetizione, rivelandosi un attaccante eccezionale. In otto anni di Arsenal conquista due Premier League, tre Coppe d’Inghilterra e due Community Shield; passato al Barcellona, in tre anni fa sue due Lighe, una Coppa e una Supercoppa di Spagna, una Champions League, una Supercoppa UEFA e il Mondiale per Club.

Mi faceva impazzire vederlo partire, purtroppo sempre con maglie diverse dalla nostra, da sinistra nell’uno contro uno palla al piede, o quando faceva finta di distrarsi in fuorigioco per poi rientrare pronto alla fuga palla al piede, che immancabilmente finiva alle spalle del portiere avversario. Henry, poi, era anche implacabile sotto rete, sia personalmente, che attirando gli avversari su di sé, per poi fornire assist ai compagni per cui sarebbe stato più difficile calciare fuori che metterla dentro.

Perché vi parlo di Thierry Daniel Henry, detto Titì? Perché il 17 agosto del 1977, oggi, compie quarant’anni. Gli faccio i miei migliori auguri con affetto e stima: sarebbero stati certamente più emozionali e grati se fosse rimasto a vincere con noi. Purtroppo, Ancelotti non ha capito di avere un Koh-i-noor per le mani, scambiandolo per bigiotteria da banco del mercato e relegandolo ai margini del progetto bianconero, tanto da obbligarlo a chiedere il trasferimento in una squadra dove lo facessero nel suo ruolo. Così, uno dei migliori centravanti di manovra di tutti i tempi, uno che in carriera ha segnato 450 reti in 994 gare (nell’Arsenal addirittura 228 in 367 partite, con una media di 0,6 gol a partita) è andato a fare le fortune di altri. Auguri Titì: io avrei mandato via Ancelotti. Non è stata colpa tua se non ti abbiamo voluto tutto quel bene che avresti meritato.

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