Di Crazeology L’Italia è fuori dai mondiali di calcio. Punto. La sventura conta poco. I risultati sbiaditi degli ultimi mesi, la mancanza di gioco, la mancanza di idee, la mancanza di strategie, la mancanza di talenti (che poi questo è vero fino ad un certo punto), alcuni pasticci di Ventura sulle formazioni, sono solamente alcuni singoli ortaggi dello stesso minestrone.
Bisogna cominciare a guardare in faccia la realtà. E’ che il calcio italiano, a cominciare dai club, da diversi anni ormai, ha serie difficoltà ad alzare trofei in competizioni europee, la nazionale si è basata per troppo tempo solo su vecchietti bravi e volenterosi, non c’è nessuna volontà di fare riforme utili a mettere in condizione club e nazionali (comprese under 21, ecc) di lavorare al meglio, di fare crescere i giovani in un calcio competitivo, non esiste una vera pianificazione, e su questo binario di riflessioni si potrebbe continuare per ore e ore.
Il sistema intero, compreso quella della
giustizia sportiva, non solo non è in grado di fare giustizia, ma è addirittura molto bravo a fare ingiustizia, scientemente per giunta. Del resto un calcio fatto di vecchi incompetenti, poltronismo, politicanti, amicizie, simpatie e antipatie, dove i cattivi predestinati sono sempre e solo i gianduiotti con la maglia bianca e nera, non poteva che generare un disastro di queste proporzioni.
E uno potrebbe dire:
“Vabbè, la giustizia sportiva non c’entra, dai…”.Balle. C’entra anche quella, perché se si muove solo per mettere i bastoni fra le ruote a chi lavora, si deve prendere delle responsabilità anche sui risultati del campo. Chi esce dai binari va punito, gli serve per capire, crescere e maturare, se invece si punisce solo e sempre lo stesso club, si creano delle falle in tutto il sistema. Punto e basta.
Il pesce puzza dalla testa da sempre, diranno i lettori più attenti. Vero, solo che dal 2006 ad oggi si è esagerato. Come hanno esagerato anche alcuni fessacchiottoni della Torino bene, sia ben chiaro.
La pacchia è finita da tempo, solo che i troppi babbei poltronisti non se n’erano ancora resi conto. O forse lo avevano capito anche fin troppo bene, ma speravano di farla franca con qualche colpetto di fortuna prima o poi.
Nel 2006 si è scardinato un sistema calcistico che aveva dei grossi difetti, ma era competitivo e creava competizione reale tra i club, c’era un certo delicatissimo equilibrio insomma; dopo invece si è passati a fare favori a Tizio per qualche anno, e successivamente a combattere Caio a prescindere e in tutti i modi possibili per il resto del tempo. Come dicevano i miei nonni,
“i cantinieri litigano, ma ci rimettono i barili che si sfasciano!”. E i risultati sono questi.
Adesso siamo arrivati al giorno dopo. Domande facili facili.
Chi ha i testicoli per dimettersi? Chi ha voglia di licenziare un bel po’ di ambigui e loschi personaggi? Mica i soliti noti babbei penseranno che basta cambiare l’allenatore vero? Devono togliersi tutti dai piedi, e bisogna mettere mano a tutti i troppi problemi che ci sono. Questa storica disfatta deve essere utilizzata come un reset. Bisogna restituire al sistema giustizia, credibilità, organizzazione, strategia, fascino, e voglia di fare bene. E questo discorso deve valere dalla Val D’Aosta fino a Lampedusa. Bisogna che tutti, compresi i proprietari trafficoni di molti club, facciano una seria autocritica, invece di nascondersi a vario titolo dietro un orgoglio tonto e irrealistico. Costoro sappiano che tra l’essere orgoglioso e l’essere orgoglione spesso la differenza è talmente sottile da essere irrisoria.
Tanti saluti e ancora tanti vivissimi complimenti. Continuiamo pure a farci del male, mi raccomando.
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