Giovanni Ferrari, di cui il sei dicembre ricorrono centodieci anni dalla nascita, con Baloncieri e Rivera costituisce la triade delle grandi mezzali sbocciate nelle file dell’Alessandria. Fu un altro “grigio” d’adozione, Carlo Carcano, scelto come guida tecnica per la stagione 1930/31 da Edoardo Agnelli e Giovanni Mazzonis, a farlo prelevare dalla “scuola alessandrina”. Carcano poteva ben suggerire l’affare, avendo appena allenato per un anno il talentuoso mezzo sinistro. Manco a dirlo, Giovanni Ferrari fu un grande acquisto, confermandosi «una della più complete mezzali sinistre della storia» (Chiesa: “Il secolo azzurro”), cosa che si riflette nei primi cinque scudetti vinti consecutivamente alla Juventus e nel trionfo in due Campionati del Mondo, uno quando ancora indossava la maglia bianconera.
Aveva una grande energia nel tackle, buona corsa e resistenza, un tiro preciso anche se non fortissimo e un senso della posizione eccezionale. Era un grande, qualsiasi caratteristica del centrocampista si cercasse in lui, ma nel lanciare il compagno era sopraffino. Sentite Caminiti:
«Non veloce, velocizzava il gioco con il pallone passato di prima, spesso verticalmente, con lanci di cinquanta metri», ed anche «la tattica che si fa strategia, lo ebbe Principe della Juventus di Carcano dal 1930 al 1935, sia che si trattasse di lanciare Vecchina e Orsi, Borel II e Orsi».Era una Juventus di campioni, non per niente, ai Mondiali del 1934 i convocati bianconeri erano ben nove. Che squadra era quella di Edoardo Agnelli: un innesto l’anno ed era sempre scudetto. Solo in due campionati, dal 1932 al 1934, la formazione titolare non mutò, trasformandosi in un mantra: Combi, Rosetta, Caligaris; Varglien I, Monti, Bertolini; Sernagiotto, Cesarini, Borel II, Ferrari, Orsi. Campioni a iosa, anche celebratissimi, ma sentite in proposito il solito Caminiti:
«Monti e Ferrari furono la spina dorsale di quella squadra inimitabile, cattivissima quanto leale nel gioco, che sapeva speculare sul gol senza concedere all’avversario un’unghia di terreno». E se il nostro cantore quasi ufficiale arrivava a mettere in secondo piano, rispetto a Ferrari, gli Orsi, i Borel e i Cesarini, leggete cosa dice Ettore Berra del nostro Ferrari:
«è non solo il miglior giuocatore della sua generazione, ma è l'uomo che insegna a tutti come si giuochi per la squadra e non solo per il proprio tornaconto, come s'inizi un'azione, come ci si comporta negli sviluppi di quest'azione. Si può dire che tale ruolo è, dal punto di vista tecnico una creazione sua. Prima di Ferrari, il mezzo-sinistro era un giuocatore qualunque». Non ne pone l’accento sul lancio, Angelo Rovelli, per cui Ferrari è comunque un
«calciatore solido, pragmatico, lineare [...], stantuffo di centrocampo ma pure abile nel puntare a rete». Invece, per quel criticone di Brera, sempre pronto alla ricerca del pelo nell’uovo, specie se non si parla di calcio milanese, Ferrari
«è di gran lunga il più specializzato e dotato dei centrocampisti italiani», anche se «non ha la nevrile (?) eleganza di Baloncieri». Il giornalista d’oltralpe ed ex calciatore Lucien Gamblin ebbe invece a scrivere che Ferrari è
«probabilmente il miglior calciatore italiano da dieci anni a questa parte… degno successore di Baloncieri, stratega notevole e fine tecnico, il cui giuoco resta sobrio e impersonale» e che, «nessuno sa meglio di lui iniziare o condurre un attacco nelle migliori condizioni». Nonostante l’arretramento in bianconero rispetto alle sue abitudini con i “grigi”, (in bianconero c’erano due grandi centravanti, prima Vecchina e poi “Farfallino” Borel), si segnalò come vice cannoniere bianconero in ognuno degli anni della “prima cinquina”. D’altra parte come dichiarava serafico:
«I cannonieri c'erano già, non era necessario avvicinarsi troppo all'area. Piuttosto, bisognava servire le ali, specie Orsi, perché Cesarini si dimenticava troppo spesso di farlo». Via da Torino, vinse altri due campionati all’Ambrosiana-Inter e uno nel Bologna, per ritornare a Torino nella stagione 1941/42, dapprima come giocatore-allenatore, poi solo come giocatore, aggiudicandosi la Coppa Italia di quell’anno.
Se fu abbastanza incomprensibile il suo passaggio ai nerazzurri quando era ancora nel pieno della sua grandezza calcistica, abbastanza inconsueti furono i modi del suo arrivo dall’Alessandria. Dopo l’esordio in Prima Divisione coi “Grigi”, quand’era ancora quindicenne, fu ceduto un anno all’Internaples. Riacquistato dall’Alessandria, andò vicino alla conquista del titolo italiano nell’annata 1927/28: in trentadue partite segnò ventiquattro reti. Con le richieste del cartellino da parte delle grandi squadre, il ragazzo chiese un adeguamento economico. La Società, non avendo soldi, stipulò un patto col giocatore: nel 1928/29 rimaneva ad Alessandria senza incremento di stipendio, ma con la promessa dello svincolo gratuito per l’anno seguente. Ferrari ripeté prestazioni all’altezza della sua fama, tanto da essere chiamato anche in Nazionale, ma dopo un buon girone d’andata, la squadra abbandonò le prime posizioni e i suoi dirigenti pensarono di non mantenere la promessa fatta: Ferrari fu escluso dai titolari con l’accusa di scarso impegno. Non credo che la Juventus se lo sia accaparrato col solo esborso dello stipendio al calciatore: una qualche contropartita sarà comunque arrivata nelle casse degli alessandrini, visto che non erano trascorsi molti anni dal “Caso Rosetta”.
La nostra pagina facebook
La nostra pagina twitter
Commenta con noi sul nostro forum!