Se lo zio Giovanni era noto come ”Avvocato”, se suo padre Umberto era detto il “Dottore”, lui, Giovanni Alberto Agnelli, nato a Milano il 19 aprile 1964, era “Giovannino”. Nella famiglia Agnelli, le insegne di capo, dopo il Senatore, saltando il figlio Edoardo deceduto troppo precocemente e transitate sull’interregno di Valletta, erano giunte infine nelle mani dell’Avvocato. Ma la linearità nella discendenza, evidentemente, non è cosa usuale per gli Agnelli, cosicché, viste le problematiche che non rendevano idoneo un passaggio ai figli che l’Avvocato aveva avuto da Marella Caracciolo (Edoardo e Margherita), con un nuovo salto di generazione, dell’onore e dell’onere dello scettro di comando si era investito Giovanni Alberto, il figlio del “Dottore” e di Antonella Bechi Piaggio.
Aveva dovuto sbrigarsi, rispetto allo zio, per rendersi idoneo alla successione: Giovannino non ha avuto la franchigia temporale assicurata all’Avvocato dal Senatore Agnelli e da Vittorio Valletta. L’Avvocato ha raccolto lo scettro da Valletta quando aveva quarantasei anni, Giovannino, laureatosi alla Brown University in relazioni internazionali, nel 1982, a diciotto anni, in incognito, entrava già in FIAT. Nel 1986 fa il militare nel Battaglione Tuscania dei Carabinieri. Già destinato dallo zio alla guida della FIAT, il 25 febbraio 1993 è nominato presidente della Piaggio e il 5 novembre entra nel CdA della FIAT. In Piaggio risolleva brillantemente le sorti della casa della Vespa, alle prese con l’agguerrita concorrenza degli scooter giapponesi, manifestandosi mananger di razza. Insomma l’Avvocato (e il Dottore) avevano trovato l’uomo giusto per la successione in FIAT e alla Juventus.
Ma prima… beh, prima qualche scappatella anche per lui. Negli USA, al tempo del college era già inseguito dalla stampa gossippara, che lo dipingeva come scapolo d’oro. Già con i suoi vezzi: se zio portava l’orologio sopra il polsino, lui, i polsini della camicia li lasciava sbottonati sotto la giacca, se zio metteva il piumino sullo smoking, lui portava il colletto della polo rialzato. Poi il vezzo “migliore”, quello delle belle donne….e degli incidenti: se zio si schiantò in macchina in Costa Azzurra con a fianco una bellissima, la stessa cosa ha fatto nipote contro un guardrail a Belforte Monferrato. Infine ritrova la sua bella dei tempi dell’Università, Avery Frances Howe, e se la sposa.
Prima si parlava delle scappatelle, ma manca parlare di un altro amore, quello per la squadra di calcio di famiglia. Sì, perché Giovannino era tifoso sfegatato della nostra Juventus: da bambino era spesso a Villar Perosa, ed è riuscito addirittura ad allenarsi con la prima squadra, quando, ai tempi del college, volle studiare dal vivo le differenze tra i sistemi di allenamento italiani e americani. Così, se lo zio era amico di Boniperti, degli Hansen e di Praest, se babbo era amico di Sivori e Charles, lui era amico di Platini e Tardelli. D’altra parte si sa, il tifo è malattia contagiosa.
Peccato che i sogni dei Grandi Vecchi, quelli della bella moglie e della figlioletta neonata, le sue sacrosante aspettative di vita di giovane uomo di successo di trentatré anni e i sogni di tutti noi tifosi siano stati infranti da una rara forma di tumore maligno dell’intestino, che il 13 dicembre 1997 l’ha portato alla tomba. E pensare che solo tre giorni prima, da “La Mandria”, la residenza del padre Umberto dove ultimamente abitava, era venuto allo stadio, accolto, prima dalla gara da una standing ovation di noi tutti, che per il vederlo in tribuna d’onore speravamo, credevamo nella sua guarigione. Quella sera Inzaghi gli ha regalato il gol vittoria sul Manchester United e Djordjevic, a Atene, quello della qualificazione in Champions League a spese del Rosemborg.
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