I Mondiali calcio del 1978, in Argentina, furono dei buoni mondiali dal punto di vista tecnico, ma si svolsero in un’atmosfera tetra e cupa, per le tensioni sociali determinate dal golpe di due anni prima, che aveva portato al potere il sanguinario generale Videla. Il sistema utilizzò la manifestazione a fini di ordine pubblico e propagandistici interni ed esterni: quei Mondiali costarono certamente parecchi desaparecidos in più alla popolazione.
L’Italia guidata da Bearzot non godeva di particolari favori del pronostico: eliminata al primo turno dei precedenti Mondiali, non era testa di serie e fu inserita nel "Gruppo 1", il più difficile ed equilibrato. Bearzot era deciso a portare in Argentina una squadra giovane basata sul blocco Juve: Benetti, Causio, Cuccureddu, Gentile, Scirea, Tardelli, Zoff e, vista un’amichevole di preparazione dall’andamento non proprio rassicurante, all’ultimo momento imbarcò nell’impresa altri due bianconeri, Cabrini e Rossi, non ancora Pablito.
L’Italia fece un figurone nelle tre gare del girone, vinto a punteggio pieno: due a uno alla Francia, all’esordio del 2 giugno, nonostante il fulmineo svantaggio iniziale (reti di Rossi e Zaccarelli); tre a uno all’Ungheria (reti di Rossi, Bettega e Benetti); un fulminante uno a zero sui padroni di casa (rete di Bettega). Il cammino proseguì nel girone successivo: pareggio in bianco con la Germania Ovest, avendo più volte meritato il vantaggio e uno a zero all’Austria (rete di Rossi). Nella terza partita del girone, pur in vantaggio sull’Olanda per autorete, perdemmo infine due a uno, ma il gol del pareggio olandese fu figlio di una rimessa laterale non restituita dagli “sportivissimi” Orange. Il secondo posto nel girone ci dava diritto alla gara per il terzo e quarto posto: ottima partenza, con rete di Causio, poi pali e traverse… che non impedirono al Brasile di imporsi due a uno. Un buon Mondiale per gli Azzurri, lodati universalmente per il gran gioco mostrato per tutto il torneo.
Zoff, Gentile, Cabrini; Benetti, Bellugi, Scirea; Causio, Tardelli, Rossi, Antognoni e Bettega è la formazione con cui l’Italia apre il suo mondiale, una formazione con cui Bearzot fa un altro sgarbo ai giornalisti che lo osteggiano per qualsiasi cosa dica o faccia: a soli vent’anni, e senza che avesse mai indossato la maglia azzurra, fa esordire dal primo minuto Antonio Cabrini. Un esordio da brividi: a parte il clima di tensione nel Paese ospitante, ci sono i pennivendoli nostrani, che da tempo osteggiano il tecnico, le sue idee, le sue scelte tecniche e il gioco della squadra, e che ora pensano di avere una nuova freccia al loro arco. Vent’anni, ma il ragazzo è tranquillo: “Avevo la sensazione di giocare nella Juve”, dirà poi. Verissimo: nove su undici sotto la maglia azzurra hanno una canottiera bianconera. Vent’anni e con un solo anno di Serie A sulle spalle, Cabrini fa un gran bell'esordio: spinge e difende come un veterano, ma con la forza dei vent’anni. Un gran Mondiale, il suo, che faceva prevedere una grande carriera.
In effetti, il suo primo incontro con la Nazionale Azzurra è di qualche tempo, precedente quel 2 giugno scolpito sui tabellini. E’ primavera e, a Verona, una Nazionale sperimentale se la vede con la Nazionale dell’Eire. Tutta la stampa sottolinea le potenzialità del Bell’Antonio, che nulla ha a che spartire col personaggio di Vitaliano Brancati. In campo, Cabrini dimostra un atletismo di prim’ordine, difende e attacca con tempismo invidiabile, arpionando palloni su palloni e portandoli imperiosamente avanti, sulla fascia, per il cross dal fondo, la finalizzazione personale o il passaggio, mai banale, al compagno meglio posizionato. I giornalisti ancora no, ma Bearzot ha già compreso, come altri nell’entourage bianconero, che siamo in presenza di un degno erede di Berto Caligaris. Così, senza la partecipazione a gare ufficiali, se lo porta ai Mondiali. Dopo quelle sei gare, tutti capirono, anche i giornalisti, che si era davanti a qualcuno che per parecchi anni sarebbe stato il miglior terzino sinistro al mondo.
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