Giampaolo Menichelli arriva dalla Roma nell’estate 1963, salutato con gioia dalla tifoseria poiché, a soli venticinque anni, è l’ala sinistra titolare della Nazionale. Romano, uno e settanta di altezza per settanta chili, non è un gigante, ma possiede un fisico da grande atleta, proprio come il fratello Franco, futuro campione olimpico a Tokio 1964. Arriva a Torino con Adolfo Gori e Dell’Omodarme dalla SPAL, Olinto de Carvalho “Nenè” dal Santos, Da Costa dall’Atalanta. In campionato arriviamo quinti, sia per le difficoltà di amalgama dei nuovi, sia per il via vai di allenatori: Amaral è sostituito da Monzeglio dopo la quarta giornata, a sua volta sostituito da Rabitti dalla ventisettesima, con lo stesso Monzeglio che assume l’incarico di Direttore Tecnico.
L’anno successivo, il Presidente Catella sceglie per la panchina il paraguaiano Heriberto Herrera, propugnatore di un particolare tipo di gioco a zona, che lui stesso ha battezzato “movimiento”. Nonostante l’acquisto del centravanti Combin, la posizione finale in campionato migliora solo di una posizione: è vero che c’era da assimilare il verbo del nuovo allenatore, ma Menico, come lo chiamano tutti già dai tempi di Roma, oltre ad essere il nostro miglior realizzatore in campionato, è anche il match-winner della finale di Coppa Italia contro l’Inter. A fine stagione, un doppio evento negativo: la sconfitta col Ferencvaros in Coppa delle Fiere, e l’addio di un Sivori esasperato dall’idea di calcio e dai i modi di Heriberto Herrera. Il 1965/66 è un’altra atra annata di transizione, con Sidney Cunha “Cinesinho” che sostituisce Omar Sivori per dare fosforo all’attacco bianconero: nonostante l’arrivo di attaccanti come De Paoli, Favalli e Zigoni, Menichelli resta il miglior marcatore della squadra.
Il 1966/67 è la stagione migliore di Heriberto Herrera. E’ l’anno dello scudetto numero tredici, in cui Menichelli darà il suo apporto costante, senza flessioni di forma, rendimento e gol segnati. Già in rete alla seconda giornata (Lecco), una doppietta al Foggia, un’altra rete al Bologna, con il due a uno sui felsinei che ci designa come l’antagonista ufficiale dell’Inter capolista. L’ultimo dell’anno, a San Siro, porta la Juve in vantaggio proprio sull’Inter, ma i nerazzurri riusciranno poi a pareggiare; alla 20° giornata è doppietta alla Fiorentina (4 a 1 il risultato). Si arriva quindi alla volata per il titolo, e con un Menichelli in grande spolvero, la prima pedalata la dà Favalli, (7 maggio, 31° giornata, Juventus – Inter 1 a 0): ora l’Inter è a meno due e comincia ad avere il fiatone. La 32° giornata è interlocutoria: l’Inter acciuffa il pareggio all’ultimo col Napoli in casa, la Juve non ne approfitta a Mantova, dove la partita termina 1 a 1, con la rete del solito Menichelli. 21 maggio, mentre l’Inter impatta in casa con i viola, la Juventus si porta a meno un punto dalla capolista, per la rete del solito Menichelli, che fissa il risultato di Vicenza - Juventus sullo 0 a 1. Ultima giornata: mentre Bercellino senior e Zigoni regolano la Lazio al Comunale (2 a 1 il finale), a Mantova, grazie a un “gollonzo” di Di Giacomo al 49°, l’Inter fa zero punti. La Juventus ringrazia e vince quel tredicesimo scudetto in cui è evidente l’impatto di Menichelli: trentatré presenze e undici reti, di solito fondamentali. Vale la pena ricordare gli altri “operai” (così, tanti giornalisti definivano i giocatori bianconeri, per differenziarli dagli “stellari” interisti, guidati dal “Mago”, non per niente anche detto HH1, a rilevarne, ce ne fosse bisogno, la superiorità rispetto al “Ginnasiarca” HH2). Gli altri bianconeri di Juve - Lazio, dicevo: Anzolin, Gori (Adolfo), Salvadore; Castano, Bercellino (Giancarlo), Leoncini; Favalli, Del Sol, Zigoni, Cinesinho e Menichelli. Contitolare del posto di centravanti è De Paoli, con 26 gare disputate, rispetto alle 23 di “Zigozago”.
Nel 1967/68 arriva Causio, e Magnusson è lo svedese di Coppa Campioni, dove si arriva alle semifinali: nonostante l’arrivo di sempre nuovi attaccanti, Menichelli trova sempre i suoi spazi, poiché anche quest’anno gioca venti gare e segna cinque reti. Altra stagione anonima il 1968/69, l’ultima di Heriberto Herrera quando, a inizio stagione arrivano le nuove leve che si metteranno in mostra nella Juve trapattoniana degli anni settanta: Anastasi, Haller e Benetti. Meno spazio per Menico, che quest’anno colleziona dieci sole presenze e segna una reti.
Visti i nuovi arrivi e gli spazi sempre più ristretti, Menichelli lascia la Juve dopo sei stagioni, 194 gare e 59 reti: se ne va uno che Caminiti inserisce nel suo libro “I più grandi”, descrivendolo come calciatore «di una professionalità esaltante, in un tempo di rodomonte e divismo bambinesco», «un’ala di ruolo abbastanza lineare, con ventate di gioco di possesso in uno scatto di aquilina essenzialità». Essenziale per la squadra, «lo scudetto numero 13 lo vide protagonista sia nei gol, 11, che nell’esecuzione assidua, puntuale, degli schemi ordinati da Heriberto Herrera», con «un’azione atleticamente perentoria … una grinta belluina di questo Menichelli fratello del ginnasta che ne ripeteva, nelle ribalte del calcio, la metodicità di lavoro». Dopo la Juventus passa al Brescia, dove gioca un anno, poi al Cagliari, dove disputa la sua ultima stagione agonistica. Due giorni fa è stato il suo compleanno. Auguri, Menico: so che c’è un gruppo di vecchietti come me, che si sta adoperando per far avere anche a te una stella d’oro allo Stadium. Penso che sarebbe proprio giusto!
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