Era il 2006, calciopoli monopolizzava il calcio italiano e Giraudo, dimissionario dalla Juventus, dichiarava:
«Togliamo il disturbo, ma vedrete che banditi verranno dopo di noi». Riconosco in questa frase una lungimiranza che trova riscontro da ben sedici anni.
In quel momento il calcio italiano era al top mondiale, i migliori giocatori e allenatori militavano nel nostro campionato, la Juventus e il Milan disputavano addirittura una finale di Champions tutta italiana, l’Italia vinceva i mondiali non per un caso. Ora osservate, non solo da tifosi, dopo sedici anni come è ridotto il calcio italiano con una parabola discendente che ancora non si ferma.
I nuovi proprietari di società che militano nella massima serie, quelli che avrebbero dovuto aiutare il calcio italiano a risollevarsi, sono i primi a minarlo. Di Commisso, e della «merd*», usando il suo stesso termine, che butta costantemente sul calcio italiano non credo ci sia molto da capire; il neo presidente della Salernitana, una società che di fatto non dovrebbe competere in Serie A, come prima dichiarazione pubblica chiede la sospensione del campionato; la nuova proprietà del Genoa, fa un contratto pluriennale da quattro milioni netti all'anno ad un allenatore che non ha mai allenato e che stava accompagnando la squadra in Serie B; giocatori chiamati alla quarantena da provvedimenti delle rispettive ASL di competenza che vengono schierati in campo senza nessun timore o paura di conseguenze; la Figc e la Lega che decidono di varare un nuovo protocollo, accorgendosi che in Italia c’è un problema Covid solo dopo che alcune squadre hanno già saltato diverse partite (lungimiranti!); titoli che vengono assegnati a società non in regola con il pagamento degli stipendi…
Prendere atto di questa situazione significherebbe assumersi delle responsabilità e trovare dei correttivi che magari infastidirebbe qualcuno abituato a fare quello che vuole. Pensate ci siano persone così coraggiose e capaci nella struttura del nostro sport nazionale attualmente? No, non ve ne sono.
Non hanno forza trainante giocatori e allenatori sul viale del tramonto e non ce lo hanno i manager che governano il calcio italiano. Tra essi forse le maggiori colpe sono diio chi in questi anni ha tenuto a galla il carrozzone italiano: Andrea Agnelli. In questi ultimi dieci anni la Juve è stata la società messa meglio e per questo avrebbe dovuto ritrovarsi come una rocca salda in mezzo alla tempesta, invece l'attuale situazione bianconera è forse tra le più complicate. La Juve poteva e doveva ritrovarsi a viaggiare in prima classe con altre società europee, si trova invischiata in una crisi di competitività tecnica in Italia che dà conto del fallimento della politica della redistribuzione interna dei proventi europei.
Agnelli in questi dodici anni sembra essersi speso più per accreditare sé stesso che la Juve e ora la coinvolge nel tritacarne che ha incominciato a fagocitarlo dall'annuncio della Super League. In questo ha fallito nel ruolo di leadership al quale ambiva: doveva correre, le altre società se volevano essere virtuose dovevano essere capaci di alzare il ritmo e seguire. Invece sembra che la Juve si sia fermata ad aspettare chi zoppicava e ora viaggia con cattive compagnie.
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