Qualche giorno fa su Sportweek, il settimanale de La Gazzetta dello Sport, Luigi Garlando ha pubblicato stralci epistolari diretti a Vlahovic. Queste le righe dell’anonimo scrivano condivise dal giornalista: «Caro Dusan Vlahovic, con questa mia voglio augurarle buon vento per la sua nuova avventura juventina. (Fortuna!) Lei che abita da tempo il nostro calcio, non ha certo dimenticato Verona-Fiorentina del 22 dicembre scorso. Vi salvaste LE PELLE (Scritto proprio così, le pelle) a 9' dal termine. [...] Lei, Dusan, come Dante dopo la condanna all'esilio rischia il rogo se ritorna a Firenze. Per l'amor di Dio, lei è liberissimo di farsi due passi a Ponte Vecchio quando vuole, non ha fatto male a nessuno, ma sono comprensibili anche i sentimenti lividi della tifoseria viola. Non crede? (Al limite dell'istigazione alla violenza) [...].
Caro Vlahovic, lei ha onorato l'anno delle celebrazioni dantesche nel migliore dei modi: 21 gol nel campionato scorso. Proprio 21, in rima con la data di morte del vate: 1321. Però capirà che l'Alighieri, che aveva cuore da ultrà e poderoso orgoglio d'appartenenza, oggi la sprofonderebbe tra i ghiacci del Cocito, dove dimorano i traditori per l'eternità. [...]
Buon vento Dusan».

È evidente che lo sconosciuto tifoso fiorentino abbia voluto cogliere il transito veronese di Vlahovic per una delle sue ultime partite in viola per proporre quello che nei suoi oscuri auspici vuole essere un parallelo con la sorte del «ghibellin fuggiasco» come Foscolo definì Dante (che in realtà era un guelfo bianco). Un malcelato desiderio di non rivederlo più a Firenze, proprio come il sommo poeta. Allo stesso modo usa il buon vento per fargli gli auguri come si farebbe a un velista. Poraccitudine, questo il termine romanesco che si presta bene anche nella pronuncia dei discendenti del compositore del Dolce Stil Novo.

Al di là di tutti gli striscianti desideri di malasorte per il serbo, lo sconosciuto uccellaccio viola non sa o finge di non sapere che Dante mostrò sì molto affetto alla città di Firenze, volle marcare gran distanza dalla fiorentinità degli ultimi anni della sua vita.

Proprio a Verona, mentre da esule era ospite di Cangrande della Scala, Dante con una celebre lettera rispose alla possibilità della «revoca graziosa» dell'esilio e con sdegno rifiutò di «pagare una certa quantità di danaro e a sopportare la vergogna dell'offerta, potrei esser assolto e rientrar in patria senz'altro».

Infine il poeta, consapevole della non universalità di Firenze, e benché in quegli stessi anni nella Divina Commedia scriveva «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui» (Paradiso, canto XVII), concluse quella lettera facendo osservare come si potesse ben vivere anche lontano dalla città natia, «E neppure un pane mi mancherà». In pratica pisciò in testa ai fiorentini dominanti della sua epoca.

Ora, cosa fa pensare al nostro sconosciuto amico epistolare che Vlahovic, che di Firenze non è figlio, abbia a soffrire la lontananza dal capoluogo toscano? E come può pensare di predicar colta morale al calciatore quando giustifica i «sentimenti lividi della tifoseria viola»? Di cotante righe vien a frutto la conferma della fondatezza dei sentimenti danteschi verso la città fiorentina negli anni dell'esilio veronese. Chissà, distante da Firenze Dusan potrebbe comporre i capolavori della sua carriera, così come Dante scrisse il suo capolavoro lontano dal perimetro della città natale.

Vlahovic potrebbe ben rispondere che il pane fuor di Firenze non è povero di sale, e soprattutto che a Torino può uscir a «riveder le stelle» (quelle della Champions League, meglio chiarire per tifosi che no ne sono avvezzi)

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