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Attualità di N. REDAZIONE del 27/12/2022 14:42:27
Lettera da un esule

 

Si è tenuta oggi l’assemblea degli azionisti e come consuetudine il presidente della Juventus aveva introdotto la prima convocazione con una lettera agli azionisti e con l’occasione non mancava di mandare qualche messaggio alla tifoseria.

Nel nostro forum trovate il testo completo della missiva (LINK) non superata dalle sopraggiunte dimissioni, tanto è vero che in assemblea l'ornai ex dirigente ha reclamato una volta di più la bontà e correttezza del proprio operato. E come alla lettura di quella missiva abbiamo avuto la sensazione di un presidente scollegato dalla realtà, esule in qualche super luogo di fantasia e ancora ancorato a una terminologia che vorrebbe ricalcare qualche oxfordismo ormai già desueto.

Alcuni passaggi della lettera ci fecero quasi sorridere, ci sembrava di assistere alla retorica di un politico impegnato come un oste in campagna elettorale: il vino comunque è sempre buono, e se non è buono non è colpa sua.

Le colpe di un bilancio (riscritto per le note vicende) chiuso con un passivo di più di 250 milioni (record nella storia della Serie A) sono da ascrivere al covid. Perché «l’equilibrio economico-finanziario, perduto durante gli anni di pandemia» ha inciso su «un percorso espansivo, vanificato dalla pandemia» appunto. Sui conti non hanno influito una gestione aziendale discutibile che si sostanzia in scelte che raccontano di una Juve che perde appeal per i suoi stessi tifosi. Ma il Presidente, anziché chiedersi nello specifico perché sta perdendo clienti (forse preferiscono altri all’elegia dell’ippica?), ci racconta che da studi svolti «in America, storico precursore di trend e mode», le «generazioni più giovani stanno perdendo interesse e sono meno coinvolte nello sport» e dichiarano «di non seguire mai eventi sportivi live». Ci raccontava studi americani per fare l’indiano?

Se questo «è certamente il momento più amaro», vi è la «consapevolezza che il triennio appena terminato» non deve scoraggiare, «All’opposto, esso è il punto di partenza di un nuovo viaggio fatto soprattutto di calcio, di innovazione» eccetera Ecco, parlando di calcio al punto 3 della lettera vi è una perentoria dichiarazione di intenti: «Sportivo: è il nostro core business e sempre lo sarà. Juventus significa competere ad alto livello per la vittoria, ogni giorno e in ogni competizione. La vittoria è un traguardo cui la Juventus aspira naturalmente ed ogni sforzo di tutte le donne e gli uomini della Juventus sarà indirizzato verso la vittoria, a partire dalla stagione in corso». La rielaborazione del motto Vincere è l’unica cosa che conta. Purtroppo non scorgiamo riferimenti, nemmeno flebili, alla qualità del prodotto, quel bel gioco o il vincere attraverso partite di qualità. Cose che alla Continassa certamente fanno venire l’orticaria, ma che potrebbero far preferire la Juve non solo ai disaffezionati, ma anche a quelle generazioni di cui l'ex primo dirigente bianconero lamentava l’assenza. Ma non siamo noi nella ragione, sicuramente meglio competere per la vittoria conquistando asfittici 1-0 che con scoppiettanti 4-3.

D’altra parte «noi non siamo il Real e mai lo saremo». Se quindi è questo il senso di competere per la vittoria, sarebbe interessante sapere in che modo con la nuova dirigenza la Juve perseguirà lo «sviluppo del brand che ha l’aspirazione di diventare attrattivo per le giovani generazioni (Z e Alpha) e intende diventare realmente globale». Prima non era globale? E la globalità la si acquista mandando via, all’inizio dell’esercizio in discussione, l’unica vera icona mondiale che aveva la Juve, nonché la sola e sensata scelta di appealing fatta negli anni precedenti?

Il «settore convive da troppo tempo con alcuni problemi strutturali che se non affrontati e risolti collettivamente rischiano di pregiudicare il futuro europeo dello sport più bello del mondo». Il rosso a bilancio infatti non è dovuto solo a una certa estemporaneità degli eventi (il covid), ma anche a una situazione che si è sedimentata nel calcio continentale: «uno stagnante conservatorismo» che affligge l’UEFA e la FIFA, che mantengono una situazione sbilanciata di «governance del calcio europeo». Questi riferimenti sono all’interno di un paragrafo dedicato alle considerazioni sul prossimo verdetto degli organismi comunitari chiamati a decidere sul monopolio dell’UEFA e sulla legittimità del progetto Super Lega.

Pur concordando che gli attuali assetti politici del calcio europeo effettivamente escludono i club dai processi di redistribuzione dei ricavi generati, dobbiamo evidenziare che tale situazione non incide su altre società europee, e, per ammissione dello stesso ex presidente bianconero, non riguarda le società inglesi. Se «la Premier League inglese rappresenta la massima lega calcistica mondiale, inavvicinabile per qualsiasi altro campionato domestico», un motivo ci sarà, e non va ricercato nella posizione dominante della UEFA.

Il progetto Super Lega intende «mettere nuovamente al centro dell’industry tifosi e calciatori». Da tifosi ci venne una battuta: non riesce a portare la gente allo stadio e la vuole mette al centro dell’industria calcio?! Non capiamo infatti come ciò si concili con la politica dei prezzi adottata dalla società bianconera, una politica che pare sempre più elitaria e meno inclusiva.

Il dimissionato (ex) presidente bianconero in chiusura ci ricordava che «le critiche e le delusioni, che nel calcio sono all’ordine del giorno, sono utili per crescere» e che «Juventus, con il sostegno stabile da quasi un secolo di un azionista di riferimento intende scrivere nuovi capitoli vincenti della propria storia». A questora dovremmo essere diventati dei giganti d’Europa: nei ventisei anni senza alzare trofei continentali quanto siamo cresciuti? Dopo un secolo da azionista di riferimento forse è giunto il momento di approfittare di quota cento e verificare la disponibilità di altri attori nella conduzione della Juventus senza limitarsi a questo ultimo rimpasto del governo societario.


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