Ieri mattina sulla prima del Corsera ho letto un interessante pezzo di Luca Gramellini, “I soliti sospetti”. Nella consueta rubrica “Il caffè”, la penna del quotidiano milanese ha commentato l’assoluzione di Kevin Spacey dopo anni di gogna mediatica.
Gramellini esordisce quasi scusandosi con sé stesso e con la sua professione: «In questi anni la viltà mi ha impedito di scrivere un pezzo a difesa di Kevin Spacey». In calce a questo intervento trovare l’articolo che stiamo commentando.
Man mano che la lettura proseguiva mi è stato impossibile non far aderire il discorso del giornalista alle vicende juventine di questi ultimi anni e, ahinoi, certamente a quelle dei prossimi. Come per l’attore americano, anche per la Juve vale la medesima disamina psico-sociologica, a maggior ragione in un ambiente in cui domina l’anti-tifo (odio) collettivo verso i colori bianconeri.
Gli anti-juventini sono «affascinati dal piacere perverso della maldicenza che gli avvisi di garanzia, anzi le semplici denunce, vengono interpretate dalla tribù giudicante dei social come una sentenza inappellabile di condanna».
Mi verrà obiettato che l’attore americano è stato assolto, mentre per la Juve non è intervenuta quasi mai una sentenza di assoluzione. È vero, ma la differenza sta tutta
nell’esercizio di difesa, che, per quanto vada cianciando l’«Ingegnere gestionale» (Crazeology), la Juve non ha mai pienamente esercitato. Assoluzioni che non sarebbero state sufficienti agli occhi del sentimento popolare, ma che avrebbero però minato il consolidarsi di una cattiva leggenda raccontata in modo indefesso da una classe giornalistica che trova linfa e convinzioni dal silenzio della società bianconera.
Una situazione nella quale giudici - ordinari e sportivi- insieme agli operatori dell’informazione sportiva italiana finiscono per compiacersi, continuando a sovralimentare un tritacarne mediatico-giudiziario che macina sempre la solita vittima. Mai leggeremo un J’accuse a sé stessi come quello di Gramellini.