Il VAR non è la giustizia applicata al calcio, è uno strumento nelle mani degli uomini, viene attivato o omesso per decisione umana. E una volta attivato, è dimostrato, viene utilizzato con la discrezionalità interpretativa degli individui che lo maneggiano.
L’introduzione di questo mezzo (inteso come tramite per un fine) non ha dissipato dubbi e sospetti, anzi, li ha aumentati. Se è vero che il tifoso ha sempre visto la malafede in alcune decisioni arbitrali, è ancor più difficile non incorrere nei cattivi pensieri laddove vi è uno “strumento” che dovrebbe correggere gli errori e che invece viene piegato al libero arbitrio dei giudici di gara.
I cattivi pensieri che possono venire al bar dello sport sono di due tipi, il primo suggerisce di una classe arbitrale che non vuole che sia erosa la propria centralità nelle decisioni e, in modo inconsapevole, trovandosi al disagio con questo strumento che gli fa da coprotagonista si ribella ad esso facendolo involontariamente fallire. Il secondo, considerando che l’uso o il non uso che si sta facendo del VAR e che evidentemente sta favorendo una sola squadra, dà al tifoso la sensazione che sia mirato alla salvaguardia di un risultato auspicato.
Al di là di come lo strumento viene utilizzato (o non utilizzato) dagli arbitri, c’è da considerare anche come molti addetti ai lavori commentano o, peggio, giustificano le evidenti distorsioni nell’applicazione del VAR. Non solo i giornalisti, a mortificare il supporto tecnologico sono soprattutto i vertici arbitrali e i massimi dirigenti federali. I giustificazionismi di Rocchi e le uscite di Gravina non fanno altro che alimentare una certa sensazione di noncuranza della realtà.
Tra gli attori coinvolti non dobbiamo dimenticare i calciatori in campo, i primi a sapere se una decisione arbitrale, avallata o meno dal VAR, sia corretta o no. Se gli errori vanno sempre in una sola direzione, in determinate circostanze si genera un convincimento di impunità; puoi ad esempio ringhiare contro un avversario sul quale hai appena commesso un fallo da cartellino rosso o alzare proditoriamente il gomito, il tutto con la certezza che il VAR non sarà azionato. Con buona pace del fairplay e della rimediabilità di alcuni errori.
In uno scenario nel quale pensieri, opere o omissioni sembrano andare in una determinata direzione, per il tifoso è difficile non sospettare che rendere vincente una società con evidenti problemi economici sia obiettivo accettato un po’ da tutti, anche dai competitor che dovrebbero opporsi e che invece devono fare sistema e accettare di non far cadere una delle tessere del domino.
Se questo è il VAR, allora c’è un problema di ordine etico per la modalità e/o gli scopi con cui lo si utilizza, e uno di ordine morale per la pudicizia con cui lo si commenta.
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