Sabato scorso, l’articolo di Luigi Ferrarella, pubblicato dal
Corriere della Sera, è stato ripreso dalle agenzie di stampa di mezzo mondo: Tronchetti e Buora indagati. Poco dopo, il giornale di casa Agnelli,
La Stampa, divulgava il nome di un terzo indagato: Gustavo Bracco, insieme all’ovvio commento di parte del legale Pirelli.
Prima di entrare in merito a quest’ultima notizia, però, è opportuno rinfrescarvi la memoria tracciando un breve profilo di TIMmmy, Tommy e Jimmy.
Marco Tronchetti Provera.Nel 2001 assume il controllo di Telecom Italia attraverso una serie di scatole cinesi e resterà presidente fino al settembre del 2006 (cominciando a cedere le quote solo nel 2007). Nell’estate del 2006 sono due gli scandali che rendono ancora più calda la Penisola: i dossier Telecom/Pirelli e farsopoli. Lui si sgancia dalla prima a settembre, mentre a giugno si era già prodigato di girare una grossa fetta delle sue quote dell’Inter a Moratti; coda di paglia?
Carlo Orazio Bernardino Buora. Dopo l’esperienza dirigenziale in Fiat e una strusciata da Benetton, nel 1991 entra nel top management di Pirelli e nel cuore di MTP. Tanto che nel 2001 sarà nominato AD di Pirelli, AD di Telecom Italia e presidente del CdA di Tim. Notabili la partecipazione al CdA di RCS e la vice-presidenza dell’Inter (2004-2007). Era a lui che la security di Telecom rispondeva ed era a lui (con Ghelfi e Moratti) che Tavaroli riferiva delle attività commissionate dall’Inter. Oggi Bernardino è presidente dell’Istituto europeo di oncologia e membro del CdA di Impregilo (oltre che membro del comitato per la remunerazione. Perché uno che nel 2006 ha incassato 13 milioni di euro in liquidazioni non poteva che occuparsi di remunerazioni!). Perché è stato allontanato sia dalla Pirelli sia dall’Inter? Qualcuno si è sentito tradito…
Gustavo Bracco. Altro ex Fiat, però questa volta parliamo di qualcuno che il mondo Fiat se l’è girato in lungo e in largo per quasi vent’anni: Cinzano (tempi di Montezemolo), Magneti Marelli, Fiat Group fino alla New Holland. A dicembre del 2000 entra in Pirelli e nel 2001 passa a Telecom Italia come responsabile delle risorse umane. Bracco sostituirà Penna (già sostituto a.i. di Tavaroli) come capo della security dal 2006 al 2007, occupandosi anche dei rapporti con la magistratura su incarico di Bernardino. Bracco lascia Telecom il 30 aprile 2008 con una buonuscita di circa 3 milioni di euro. Lo ritroveremo, nel 2009, direttore della torinese “Scuola di Alta Formazione al Management”, costituita dalle fondazioni: Gianni Agnelli, Edoardo Garrone e Pirelli (si: Juve, Samp e Inter. Che siano sbocciati allora i buoni rapporti con i doriani?). Bracco è il direttore di una scuola che deve formare i manager di domani (!). Sotto la sua responsabilità (e direttive) lavorava
Giancarlo Valente, gestore del conto per la sicurezza del management, da cui però erano (molto) spesso attinti i fondi per “attenzionare” persone e aziende. Bracco appare sull’articolo de La Stampa, verrebbe da chiedersi perché il Corriere l’ha risparmiato o come mai il quotidiano di Torino, pur avendo informazioni più accurate, abbia atteso che fosse un altro quotidiano a dare per primo la notizia. Nell’aprile di quest’anno è stato
reintegrato in Pirelli come Direttore Risorse Umane e Organizzazione.
Adamo Bove.Ora torniamo un attimo indietro. Quando la security è affidata a Bracco, i suoi diretti sottoposti sono Penna e Adamo Bove. La registrazione di un’accesa discussione tra Bove e Bracco, risalente al maggio del 2006 e nella disponibilità dei PM sin dal 21 luglio 2006 (lo stesso giorno in cui
è stato suicidato Bove), finì nel dimenticatoio per quasi un anno. Il nuovo capo della security pretende di sapere da Bove gli intestatari dei quattro numeri telefonici da lui controllati su richiesta della Digos, in particolare quello del dipendente Pirelli. Bove, su disposizione di Tronchetti Provera, non poteva più rispondere alle richieste della magistratura e, con la fusione Telecom-Tim, non era neppure più il responsabile della sicurezza di Tim; aveva in qualche modo violato il regolamento interno collaborando col suo amico delle Operazioni Speciali. Si limitò a riferire che non si trattava di un top-manager, senza fare il nome che verrà fuori solo in seguito:
Tiziano Casali, il capo della sicurezza personale di Tronchetti. Casali, seppure rappresenti l’anello di congiunzione fra Tronchetti e Cipriani, così come fra Tronchetti e i servizi segreti, non è mai stato indagato né è mai stata approfondita la sua posizione.
Oggi, quando si parla di Radar e di tabulati telefonici, agli atti appare sempre la dicitura: “Responsabile security Tim”, gli stessi tabulati riguardanti la Gea World e Moggi Luciano vengono trattati come: «
accertamenti sviluppati su disposizione diretta del responsabile security TIM», cioè Adamo Bove. Come si è arrivati a ciò?
Puntare il dito contro Adamo Bove non era difficile, poiché – come abbiamo visto – era stato messo all’angolo e sollevato da posizioni di rilievo dagli stessi Buora e Tronchetti. Accusarlo non comportava penalizzazioni all’interno di Telecom e, non a caso, i primi “denuncianti” furono proprio la sua ex segretaria, Caterina Plateo, e Fabio Ghioni, che Bove non aveva mai voluto tra i piedi.
La
Plateo agli inizi era ritenuta poco attendibile dai magistrati, anche per via della partecipazione (con lo stesso Ghioni) ad alcune “riunioni” avvenute per fare il punto della situazione (o per concordare una versione comune da riferire ai magistrati, come preferite), eppure a un tratto acquisisce credibilità e tutto ciò che riguarda Tim e i tabulati finiscono sul groppone del
suicidato. Casualmente, Bove era diventato molto diffidente nei confronti della sua segretaria, tanto da allontanarla. Indovinate un po’ di chi divenne subito la collaboratrice? Proprio di Ghioni.
Ghioni è il responsabile del famoso audit di cui Tronchetti Provera si vanta. È lui che, grazie a Bernardino, Tronchetti e Bracco, mette mano liberamente su tutti i sistemi interni a Telecom e che, il 7 giugno 2006, consegna il risultato:
abbiamo scoperto RADAR, lo usava Bove. Ghioni e il suo tonno team - gli uomini cui è stato affidato questo delicato compito di accedere a sistemi che sarebbero dovuti essere posti sotto sequestro per evitare manomissioni - saranno arrestati pochi mesi più tardi.
L’agenda di Bove.Adamo Bove teneva un’agenda. Quest’agenda era stata sequestrata dopo la morte, quindi teoricamente in mani sicure, eppure sembrano essere scomparse (un caso) tutte le pagine del mese di luglio. Dopo aver consegnato gli intestatari di quei numeri che tanto stavano a cuore al top management di Telecom, Bove cominciò ad essere pedinato. Il 21 luglio, Mancini era già stato arrestato e il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, dichiarava l’Italia estranea al rapimento dell’imam, preparando il terreno per la prossima rivoluzione all’interno dei Servizi. In più non mancano le pagine di quando avvennero i contatti con la Digos, ma proprio quelle di luglio… Esclusa dunque un’operazione dei Servizi italiani, in quel momento nel caos, chi altri avrebbe potuto commissionare un suicidio? Cosa c’era scritto in quelle pagine? Chi aveva paura di Adamo Bove?
Pietro Saviotti.Quella discussione tra Adamo e Bracco è scoperta dalla polizia postale di Roma e sarà trascritta e inviata a Napoli (dove si faceva finta di indagare sul suicidio) dal procuratore Pietro Saviotti. Lo stesso Saviotti che aveva il suo da fare col traffico illegale di tabulati telefonici…
Saviotti è un professionista esperto. Fu lui, quindici anni fa, a condurre “Ice Trap”, la prima operazione nostrana contro i pirati informatici. Sempre suo il nome che appare in alcune inchieste che hanno coinvolto i Servizi italiani: fondi neri del SISDE, Calipari, Mitrokhin… Dal 2008, a seguito dell’attentato contro una sede romana della Fiat, dirige il pool antiterrorismo che la settimana scorsa ha portato a un arresto e sei perquisizioni. Eppure, a quanto riporta il Corriere del 24 luglio scorso, stava per sfuggirgli sotto il naso un caso così importante, al punto da aver aperto un procedimento “contro ignoti” e finito col chiedere l’archiviazione al gip. Strano! Strano anche perché c’era l’esposto di Adamo Bove contro Ghioni (consulente dello stesso Saviotti) & friends, per degli accessi abusivi al sistema Gestione Richieste Magistratura. Il gip,
Aldo Morgigni (santo subito), non condivide il “contro ignoti” e respinge la richiesta di archiviazione facendo notare che a Milano proprio di traffico di tabulati telefonici si stavano occupando e che “forse” sarebbe stato il caso di approfondire. Resta il problema della competenza territoriale, così – alla fine del 2009 – le accuse contro Tronchetti e Buora finiscono in un cassetto milanese.
RADAR.Radar, formalmente scoperto da Tronchetti e Bernardino nel giugno 2006, esisteva sì dal 1999, ma questo non vuol dire che fosse spento o che era utilizzato solo da Adamo Bove (che naturalmente avrebbe avuto un interesse tutto personale a vedere quali agenti e quali società chiamavano la GEA o Moggi o a verificare i tabulati del Comando Generale dell’Arma, vero?). Lo stesso Ghioni ammetterà che, appena giunto in Telecom (2002), aveva subito notato questo sistema. Così come dal 2001 al 2006, gli anni pirelliani, fu più volte modificato e aggiornato. Come mai, in quegli anni e nel corso dei vari aggiornamenti, quel sistema non è stato mai messo a norma? Nel ’99 alcune leggi non c’erano, la messa a norma andava fatta proprio dai pirellini; perché nel 2005 hanno introdotto il tracciamento delle operazioni, lasciando però tale funzione “facoltativa”? Tra l’altro, la persona che aveva progettato quel sistema ha continuato a lavorare in Telecom, come si fa quindi a “vendere” la notizia del sistema sconosciuto, per di più a uso e consumo di Bove?
Andrea Pompili, ex coordinatore del tiger team, spiega che Ghioni – ottenuto l’incarico – aveva una gran fretta e voleva completare l’audit al più presto (impiegarono solo tre giorni). In particolare, spiega Pompili a pag. 194 del suo libro “Le tigri di Telecom”, cercava la prova che proprio dalla postazione di Bove fosse possibile interagire col sistema senza lasciare traccia. Sempre Pompili, nel suo libro, fa luce su un altro aspetto interessante di Radar: «
La debolezza strutturale balzava all’occhio, il software era stato scritto sfruttando ambienti di sviluppo rapido, quindi poteva essere facilmente replicato o modificato per averne una versione personalizzata in grado di evitare qualsiasi tracciamento e garantire l’accesso integrale ai dati». Poiché era tutto così “modificabile”, chi garantisce che non sia stato il “nemico” di Bove a “personalizzare” la sua postazione? Lo garantisce Tronchetti? Lo garantiscono i PM? Lo garantisce la manina che – tra il 7 e il 9 giugno – passò il risultato dell’audit a Il Sole 24 ore, tenendo a precisare: «
…qualche leggerezza l’avrebbero commessa, come a esempio ordinare a dei sottoposti di stampare o preparare buste di materiale da inviare all’esterno. E gira voce, in Telecom, che per evitare di essere confuso con chi ordinava certe azioni oblique, qualche esecutore custodisca gelosamente carte assai rivelatrici.». Una vera e propria minaccia a mezzo stampa, una minaccia rivolta contro una persona che morirà dopo poco più di un mese.
Autodenuncia?E come si fa ora a parlare di “autodenuncia”? Possiamo comprendere l’avvocato di Pirelli, che in poche ore si è dovuto aggrappare a qualcosa, meno comprensibili i titoli dell’Afef-friend Dagospia (24 luglio, “si è autodenunciato”) e de Il Giornale (25 luglio, “Tronchetti indagato a Milano ma per una sua denuncia”). Questa è quella che fanno passare come informazione. Se di autodenuncia si è trattato, questa era stata fatta contro Telecom per sganciare tutte le responsabilità sulla persona giuridica (come di fatti è successo) anziché su chi si avvantaggiava di quei sistemi e di quel modus operandi. Una denuncia tra l’altro avvenuta proprio a seguito della storia di corna e tabulati in chiaro sui cui indagava Saviotti; come dire di aver denunciato un omicidio quando la polizia ti trova di fronte al cadavere con la pistola fumante in mano.
Se la coscienza era a posto, perché affidare l’audit a una persona così addentro a quella security che, secondo Tronchetti, era una scheggia impazzita? E perché affidare in seguito tutte le operazioni di “bonifica” e di riallineamento agli “standard aziendali” a società che non erano estranee né alla security Telecom né a Cipriani? Quanto stiamo dicendo è noto da quattro anni, eppure nessuno ha posto queste domande. Peter Gomez è assente giustificato, poiché impegnato a
seguire da vicino l’amico Fabio Ghioni per l’Italia, gli altri sedicenti “giornalisti indipendenti” dove sono finiti?
Dall’aprile del 2007 al febbraio del 2008, i sistemi di Telecom Italia sono finiti sotto la lente d’ingrandimento dei due periti della procura di Milano: Andrea Paoloni e Bruno Pellero. Dalla loro perizia emerge che tante erano le falle ma nessuna la prova, vista l’assenza di strumenti per il tracciamento dell’operatore. Per questa ragione i periti sono costretti a ipotizzare che, «in astratto», fosse non solo possibile estrapolare tabulati telefonici, ma anche
intercettare comunicazioni in chiaro e, seppure nessuna conversazione fosse memorizzata definitivamente su sistemi in uso a Telecom Italia, era tuttavia possibile fare una copia dei file audio temporanei, necessari a impedire che le conversazioni non giungessero al punto d’ascolto in caso di problemi. L’ultima chicca dei periti riguarda la presenza di sonde capaci di costituire un
sistema di allerta nel caso a essere intercettati fossero utenze di un qualche interesse per l’azienda. Le sonde erano state piazzate dalla
Ikon, la stessa Ikon di Ghioni, Micucci, Mugnato e Alini che oggi ritroviamo sui quotidiani con l’affaire Finmeccanica/Mokbel.
Il Corriere ha fatto due nomi, La Stampa ne ha aggiunto un terzo, è palese che se ne aggiungeranno almeno altri tre/quattro, tutti accusati di associazione per delinquere.
Carissimo Tronchetti, dica ancora di essere all'oscuro di tutto, di avere dei vuoti di memoria, chieda l’infermità mentale! Perché questa volta i mattoni potrebbero non bastare a tenere in piedi la baracca.