"Avrei un sogno e cioè che si potesse parlare di errori e basta e non di qualcosa che c`e` per forza dietro all`errore". Questa è una dichiarazione che il designatore Collina ha rilasciato in questi giorni nell’infuocato dibattito riacceso dopo le dubbie valutazioni arbitrali che hanno investito le ultime giornate di campionato. Un tentativo di restituire umanità all’arbitro o solo un modo per giustificare un errore? “Le chiacchiere da Bar” hanno sempre fatto da sottofondo alla partita della domenica, giustificazione per chi ha subito una sconfitta e arringa per chi ha ottenuto la vittoria. Ma dal 2006, l’anno di “calciopoli”, qualcosa ha profondamente cambiato il modo di vivere il calcio. Quel dubbio ha acquistato potere ed è stato riconosciuto nel nome di un unico soggetto, Luciano Moggi, e colorato di bianconero, infangando anni di storia del calcio italiano. Oggetto e motivo di dibattito, l’aiutino è diventato “pilotato”, ottenendo una promozione e diventando così il capo espiatorio per chi ha dovuto giustificare una condanna che nemmeno la legge ha saputo ben individuare. Sono passati due anni, l’aiutino è tornato ad essere il tormentone dei dibattiti calcistici. Protagonista anomino ma non tanto, sempre pronto e utile per vendere bene il “prodotto calcio”, arricchito dal “realty” acchiappa ascolti. Ha una veste tutta nuova, molta umana che cerca sostegno e comprensione dal movimento calcistico ma con la stessa micidiale freddezza riesce sempre a colpire e capovolgere non solo il risultato di una partita, ma anche la convinzione che questo di oggi sia veramente il “calcio pulito”. Fa riflettere il fatto che, mentre nel 2006 gli juventini chiedevano al calcio di vedere proprio quell’ umanità, di confermare l’evidente superiorità del campo che i propri campioni avevano dimostrato, tutti si approfittavano della situazione, che in quel momento li voleva vincitori da bar, per sfogare le loro frustrazioni, gridandoci “ladri”. Oggi, l’auspicato cambiamento non c’è stato e lo stesso calcio chiede agli Juventini di comprendere, di acquistare “il prodotto” televisivo e di mandare avanti il “reality”. Siamo consapevoli che è stato fatto un furto e chi ne ha pagato le conseguenze siamo noi tifosi. C’è la rassegnazione di chi ha capito che per quanto forte possa essere una passione, questa rimane un modo per far cassa; c’è la convinzione di essere stati “derubati” di qualcosa che doveva rappresentare la conferma di un trionfo sportivo. L’Italia rimane sempre la stessa ed il calcio ne è la sua espressione. Anche i tifosi rimangono sempre gli stessi, pronti a credere quello che serve per sentirsi “speciali” e pronti a sacrificare quello che è necessario per avere l’investitura di “campioni”, ma non del campo, ma delle “polemiche pilotate”. E l’aspetto umano? Quello non c’è sempre, ma viene mantenuto vivo da chi crede che il calcio non sia solo un gioco ma espressione di un tifo, di un certo tifo, lo stesso che ci ha tenuti uniti due anni fa e lo stesso che continua ad unirci cercando la giustizia e non le chiacchiere con molta umiltà. |