Il macabro suono aumentava d'intensità ad ogni passo, ed il Presidente voltò lo sguardo verso la donna in nero, come a cercare una spiegazione. “Dove siamo qui...? E cos'è questo suono?” La donna rispose senza voltarsi, con la sua voce fredda e senza espressione: "Sono i lamenti di tutte le persone che hanno sofferto per causa tua..." rispose la donna con una voce fredda e priva di qualsiasi emozione. "Causa mia? Ma non... Non è possibile... Io non ho mai voluto far male a nessuno..." rispose lui, cercando un qualche conforto da parte della donna; avrebbe voluto che lei si voltasse, lo guardasse... Ma fu tutto inutile: la donna continuava a camminare guardando davanti a sé, e stringeva la sua mano con quella presa così gelida e funerea. Piano piano, l'assurda cacofonia di lamenti provenienti dal buio cominciò a sembrargli più comprensibile: da quell'accozzaglia di suoni spiacevoli sembravano venire a galla storie di dolori personali, racconti di emarginazione, di pregiudizi, di posti di lavoro persi, di carriere bruciate, di depressioni, di suicidi tentati... Avrebbe voluto tapparsi le orecchie e fuggire da quel luogo, ma presto si accorse che le voci non arrivavano a lui tramite la consueta vibrazione del timpano... quelle storie pregne di disperazione penetravano direttamente nel suo cervello, superando agilmente le barriere della sua scatola cranica e soprattutto quelle della sua ragione. Ad un tratto, il lamento cambiò di tono e di intensità. Ora era simile al suono prodotto dallo stridere del gesso sulla lavagna. L'ultima lavagna di ardesia era andata in disuso almeno trecentocinquanta anni prima ed il Presidente non ne aveva mai vista una, ma l'effetto era lo stesso che ben conoscevano gli studenti di quell'epoca così lontana. Un suono acuto, doloroso, da far accapponare la pelle. La sua mente non riceveva più i racconti disperati di ignoti individui dispersi in quell'oscurità in cui lui stesso camminava, ma solo questo suono stridulo e orribile, che sapeva raggiungerlo fino al cuore, fino nel profondo dell'anima, portando anche laggiù un senso di disagio, di dolore. Di tristezza infinita. Ora aveva quasi l'impressione di vedere quel suono; un caleidoscopio che andava formandosi nella sua mente, con tinte fosche e lugubri... Lasciò la presa della donna e cercò di correre via... fuggire, non importa dove, ma lontano da quel suono da incubo. Purtroppo per lui, la sua fuga disperata non portò a nulla. Per quanto corresse in questo luogo oscuro, lo stridio nero sembrava originarsi da qualsiasi punto di quell'oscurità. Si voltò, e nel buio vide distintamente la donna in nero camminare verso di lui con la consueta andatura flemmatica ed imperturbabile, raggiungerlo e tendergli nuovamente la mano. Il Presidente si accorse, mentre stringeva nuovamente la mano fredda della donna, che calde lacrime gli stavano, ora, solcando le guance. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che si era concesso il lusso di piangere? Non se lo ricordava. Dopotutto il pianto è per i perdenti e per le donnicciole, così gli ripeteva sempre suo padre. Tirando su col naso, chiese alla donna: “Ma cosa... cosa è questo suono? E' orribile, non... non...” La donna gli rispose, per la prima volta guardandolo direttamente negli occhi. “Tu conoscevi bene questo suono, conosci questo disagio. Ma forse l'hai dimenticato. E' il lamento che viene dall'anima di milioni di bambini contro i quali hai commesso il peggior crimine” Nella mente del Presidente passarono per un attimo immagini di bambini violati dai mostri della pedo-pornografia, di ragazzini delle aree più povere del mondo rapiti per il mercato nero degli organi, di bambini dagli occhi tristi e dal ventre gonfio condannati a morire di stenti e malattie, e gridò: “No! Non può essere vero... io non ho mai fatto nulla contro i bambini, non sono uno di quei pervertiti, io non... no, non c'entro con tutto questo! Non potete accusarmi di qualcosa che non ho fatto!” La donna taceva, i bellissimi occhi grigi sempre fissi nei suoi. “E' vero, io sono colpevole di tutto quello che mi avete mostrato finora, ma adesso no... non potete accusarmi anche di atrocità che non ho mai commesso... non è giusto, non potete... non potete...” Rimase, disperato, a cercare una risposta negli occhi della donna. Ma quando la donna parlò di nuovo, la risposta non fu quella sperata. Niente affatto. “So benissimo cosa intendi. E tu non hai fatto nulla di questo, hai ragione. Ma ti sei macchiato di un crimine altrettanto orribile. Hai rubato i sogni dei bambini. Ed è un crimine per il quale i bambini non sanno concedere perdono.” Improvvisamente tutto fu più chiaro nei pensieri del Presidente, come quando cerchi per un'ora l'ultimo pezzo di un puzzle e poi ti capita in mano quando meno te l'aspetti; lo incastri nel posto giusto e l'immagine si rivela in tutto il suo splendore. O in tutto il suo orrore, in questo caso. L'uomo in loden e quello col giubbotto da aviere, così come la donna in nero non erano proiezioni della sua coscienza. Non erano nati dai rimorsi per le cose che, durante un'intera vita, aveva insabbiato agli occhi degli altri ma che non poteva cancellare dalla sua memoria più intima. Tutt'altro. Erano fantasmi generati dal rancore di milioni di persone che oggi presentavano il conto... Poi, in quell'oscurità, il Presidente riconobbe finalmente qualcosa che, per quanto possibile, lo rasserenò leggermente. Davanti a loro, come un faro alla vista di un marinaio che ha rischiato la pelle attraverso mille tempeste, c'era nuovamente la porta di ingresso al suo ufficio.
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