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Articolo di M. LANCIERI del 05/06/2010 14:57:43
Noi, Juventus. G. Vialli

 

Vialli a Cremona: profeta in patria!

Credo che la stagione 1994/95 resterà indimenticabile per tutti gli juventini: fu quella della riscossa, dopo tanti anni trascorsi a vedere vincere Milan, Napoli, Samp e Inter. La Signora era un’assoluta novità: nuova dirigenza, nuovo allenatore, nuovi giocatori. Tra quelli ereditati dal vecchio corso, Roberto Baggio era il capitano e il simbolo della squadra, Alex Del Piero l’astro nascente, Gianluca Vialli la scommessa. Come si fa a definire “scommessa” un giocatore con più di 300 gol all’attivo? Il motivo è semplice: Vialli era arrivato due anni prima dalla Samp, dove aveva fatto sfracelli, ma alla Juve aveva deluso. Il Trap, addirittura, l’aveva dirottato a centrocampo, convinto che nell’area avversaria non avesse più cartucce da sparare. Quando si seppe che Lippi sarebbe stato il nuovo allenatore, Vialli lo chiamò, chiedendogli un favore in nome dell’antica militanza comune alla Samp: che intercedesse con i nuovi dirigenti perché lo lasciassero andare via. Marcello gli rispose che per lui avrebbe fatto anche di più: non l’avrebbe fatto partire, ma l’avrebbe fatto rinascere alla Juve, della quale sarebbe diventato il nuovo trascinatore.
Le prime partite di quella stagione furono altalenanti per i nostri colori: dopo il pareggio all’esordio con il Brescia, i bianconeri inanellarono una serie di prestazioni convincenti, per poi venire bloccati sullo 0-0 dall’Inter e successivamente battuti 2-0 dal Foggia di Zeman. La trasferta successiva, a Cremona, era un crocevia importante: infilare tre partite consecutive senza ottenere un risultato pieno avrebbe potuto minare le certezze mentali della compagine di Lippi. E Vialli? L’attaccante su cui tanto contava Marcello non aveva impressionato, fino a quel momento. Tanti, tra i supporter bianconeri, lo contestavano apertamente. Ma anche quel giorno, a Cremona, Vialli partiva titolare, in mezzo ad un tridente completato da Ravanelli e Baggio.
Erano anni in cui si poteva pensare di andare allo stadio senza neanche il biglietto, mettendosi in fila al botteghino, come se si dovesse andare al cinema. Partimmo da casa mia in quattro: eravamo io, mio fratello Giovanni e due miei amici: Daniele e Paolo, detto Maz. Quest’ultimo era uno juventino d’acciaio: non si sarebbe perso una partita della Juve per tutto l’oro del mondo! Ma la cosa che mi piaceva di più era lo spirito con cui affrontava le trasferte: una roba da pazzi! Con lui, allo stadio, non c’era mai da annoiarsi. Tanto per intenderci, quante persone che siano riuscite ad entrare alla finale di Champions League ad Amsterdam senza biglietto conoscete? Beh, lui ce la fece: dopo essere stato allontanato perché munito di un biglietto falso (strapagato ad un bagarino), riuscì a sgattaiolare all’interno da una porta di servizio lasciata incustodita per qualche secondo!
Ma torniamo a Cremonese-Juve. Mio fratello aveva fatto il suo pronostico: “Vinciamo con gol dell'ex: Vialli!”. Gli altri miei amici si erano limitati a previsioni più generiche, augurandosi una vittoria (avrei poi scoperto il motivo della loro titubanza riguardo la rete di Vialli!). Io, quando andavo allo stadio, ero talmente agitato e preso da tutti i miei vaneggiamente cabalistici, che mai mi sarei sognato di azzardare pronostici. Arrivammo a Cremona un paio d’ore prima del fischio d’inizio. La curva assegnata agli ospiti era esaurita, così ci accomodammo nei distinti laterali adiacenti, che praticamente si trasformarono in un’appendice della curva stessa. Era il 23 ottobre e l’autunno si faceva sentire con una pioggia continua che ci aveva costretti ad indossare il k-way, non essendo quel settore dello stadio di Cremona coperto. In compenso, ci scaldavamo saltando e cantando quei cori che, a causa di uno dei tanti incomprensibili “scioperi” del tifo che mi è capitato di vedere, dalla curva non venivano intonati. Mi pare di ricordare che il motivo della protesta di quel giorno fosse l’arresto di un paio di ultrà avvenuto qualche giorno prima, ma non potrei giurarci… Ad ogni modo, qualunque fosse la motivazione, certamente a me importava ben poco: ero lì per supportare la mia squadra e niente mi avrebbe impedito di farlo!
Io tendo a scordare molti particolari delle partite che vedo allo stadio, ma quel giorno successe una cosa indimenticabile. La partita era difficile: gli altri si chiudevano bene e noi faticavamo ad arrivare a conclusioni pulite. Poi, un pallone spiovve nell’area della Cremonese. Ravanelli l’allungò di testa per Vialli, che all’altezza del dischetto del rigore si inventò una rovesciata strepitosa: la palla fu sfiorata dal portiere e colpì la traversa interna, per poi andare ad insaccarsi in porta. Era il gol del vantaggio! Uno dei più belli che io abbia avuto la fortuna di vedere dal vivo. Mentre esultavamo, Maz mi confessò, ridendo di gusto: “Quando tuo fratello ha fatto la sua previsione, non ho avuto il coraggio di dire quello che pensavo, ma Vialli contro l’Inter mi era sembrato un giocatore di Interregionale!”. Quella partita finì 2-1, impreziosita da una gemma di Roberto Baggio. E, per come la vedo io, fu una svolta importante per il nostro condottiero.
Tre giorni dopo, ero nuovamente allo stadio, a vedere Reggiana-Juve, ritorno di Coppa Italia. È stata anche l’unica occasione in cui mi sia capitato di fare il “gesto dell’ombrello” ad uno juventino. Ogni volta che Vialli toccava il pallone, questo “gufo” proprio dietro di me lo infamava: “Vialli sei finito! Vialli fai schifo! Vialli domenica hai fatto gol solo per c…!”. Poi, la nemesi: palla per Gianluca e gol! Ovvia la mia reazione.
Sarebbe superfluo raccontare le tante reti che ci regalò durante quella stagione il nostro Vialli: la fascia non la indossava lui, ma per tutti i tifosi ed i compagni era lui il vero condottiero. La stagione successiva promise che ci avrebbe portato fino in fondo alla Champions e mantenne la parola data. Della Juve Campione d’Europa era il capitano. Lui interpretava così quel ruolo: «Fare il capitano della Juventus è una grandissima soddisfazione, ma anche una grande responsabilità; ci sono molti oneri, ma anche molti onori. Credo che questo ruolo dia una carica psicologica notevole, perché ti senti in dovere di dare tutto quello che hai dentro; la fascia di capitano ti impone di cercare di non essere criticabile, negli atteggiamenti e nel rendimento. Poi, siccome nessuno è perfetto, è difficile poter svolgere questo ruolo nel migliore dei modi, però l’importante è cercare sempre di farcela».
Nell’estate del 1996 se ne andò, senza fare troppo casino. Quando annunciarono la sua partenza, per me fu un colpo al cuore. Lo stesso anno se ne andava anche un altro mio idolo: Paulo Sousa, ceduto a quel Borussia Dortmund che tanto ci avrebbe fatto penare. Pensai che fosse la fine di un ciclo vincente e che saremmo tornati nell’anonimato. Lasciavano la nostra maglia due giganti ed arrivava un giocatore semisconosciuto: Zinedine Zidane. Con un nome così, dove voleva andare? Ma questa è un’altra storia!

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