“Il fatto non sussiste”. Questa la sentenza di assoluzione con formula piena del processo celebrato con rito abbreviato che nel novembre 2009 ha reso giustizia alla Triade. Niente da dire riguardo a plusvalenze e compravendite illegali di giocatori. Nessun doping amministrativo, nessun tentativo di approfittare della società Juventus che intanto, presentatasi con una denuncia contro ignoti, si era preoccupata di chiedere il patteggiamento, offrendo un’altra cifra “congrua” per non aver commesso il fatto. Il 19 Agosto 2003 era entrato in vigore il cosiddetto “decreto salvacalcio”, che aveva suscitato qualche perplessità anche a livello europeo, ma che era stato presentato come la necessità di riportare il calcio ad una situazione di fair play amministrativo accettabile. Alcune indagini erano partite su denuncia del presidente del Bologna Gazzoni Frascara, ma la FIGC rimaneva in prudente attesa degli sviluppi della giustizia ordinaria. Nel frattempo si era consumata calciopoli e bilanciopoli non avrebbe aiutato l’operazione di lifting e restyling del calcio nostrano, al quale era bastato il peeling e aggiungerei contropeeling beneficiato dalla Vecchia Signora, ringiovanita nei meandri della serie cadetta e costretta di fatto a una nuova e per nulla ambita gioventù. Il dualismo tra giustizia ordinaria e giustizia sportiva spesso risulta difficile da comprendere. Se lo spartiacque consiste nella differenza del metro di giudizio, che per la seconda deve rimanere vincolato ai principi dell’etica sportiva e se in genere questa viene giudicata sì più approssimativa, ma anche più celere. L’art. 8 C.G.S. sembrava comunque l’argine che sbarrava la strada alle interpretazioni disinvolte in stile 2006 e riconduceva all’illecito amministrativo. Sanzionabile e ritenuto dall’avvocato di diritto sportivo Mattia Grassani “un reato secondo, nella giustizia sportiva, solo a quello sportivo. Dopo la corruzione di un arbitro, nella scala di gravità c'è un bilancio falso per iscriversi al campionato al quale non si ha diritto”. Senonché, quando c’è da sanzionare la Juventus, il diffuso sentimento popolare sfiora il processo sommario, mentre quando c’è da esaminare le altre e soprattutto le milanesi, bisogna avvalersi di tutte le precauzioni. Prendiamo l’inter. Ha beneficiato del decreto salvacalcio, che le ha consentito di spalmare in cinque anni (su richiesta della comunità europea, perché ne erano previsti dieci) la svalutazione dei contratti dei calciatori sul bilancio, per la ragguardevole cifra di 319 milioni di euro. Ora, il Sole 24 Ore è arrivato alla conclusione che avesse delle perdite valutabili intorno a 661 milioni di euro, pareggiate per 476,6 milioni di euro dai soci e per il resto dalle plusvalenze. Pallottoliere in mano, è difficile pensare che il raggiungimento dei parametri da rispettare per partecipare regolarmente al campionato poggiasse su basi etiche e lecite. Anche perché il campionato in questione è datato 2005/2006, è cioè quello usurpato a tavolino. Sta di fatto che la FIGC, tanto premurosa nell’estate del 2006, smarrì la fretta e attese, nella persona del superprocuratore Palazzi, due anni per non intralciare l’iter della giustizia ordinaria e rispettarne gli esiti, senza nemmeno tenere conto del parere della Covisoc, preoccupata del rispetto dei parametri di iscrizione ai campionati. Carraro dal canto suo temeva che i tifosi potessero non capire le ragioni dell’economia creativa, avvezzi come sono a ragionamenti da bar. Matarrese si preoccupava invece per l’Inter e il Milan, alle quali riservare trattamenti riguardosi in quanto società che nel calcio investono molto. Invece, proprio per quei principi di etica tanto sbandierati nel 2006, sarebbe stato meglio che fossero state punite adeguatamente per essersi trovate avvantaggiate dall’utilizzo delle somme generate da plusvalenze fittizie e bilanci gonfiati non per coprire i debiti, ma per acquistare campioni da schierare in campo. Mentre altri dirigenti e altre squadre no. Se poi i loro proprietari fossero stati tanto mecenati quanto la stampa sportiva favoleggiava, avrebbero avuto modo di dimostrarlo mettendo mano al portafoglio e risanando le loro società. Il Pm Carlo Nocerino, che ha condotto l’inchiesta contro Inter e Milan per il processo per i falsi in bilancio relativi agli anni 2003 e 2004, così si è espresso riguardo alla posizione dell’Inter di quegli anni: “L’equilibrio finanziario sarebbe saltato se la società avesse evidenziato le perdite connesse alle plusvalenze fittizie e l’Inter non avrebbe superato i parametri chiesti dalla Covisoc per l’iscrizione al campionato 2005-2006”. Il 21 giugno 2007 Tuttosport chiedeva con un articolo firmato da G. Padovan che ne ricordava uno del 18 gennaio 2007, di “Smascherare gli onesti, termine del quale la società e la dirigenza nerazzurre si fregiavano abusivamente per giustificare la più arbitraria assegnazione dello scudetto che la storia del calcio italiano ricordi, quello della stagione 2005-2006. Ora che l’Inter sia formalmente accusata di aver alterato il proprio bilancio per ottenere l’iscrizione ad un campionato di serie A dal quale invece sarebbe dovuta essere esclusa e che, l’estate scorsa, Guido Rossi l’abbia decretata meritevole di ottenere lo scudetto vinto dalla Juve sul campo, appartiene alla tragedia di uno sport appaltato alle lobby e dilaniato dalle lotte tra sistemi di potere”. Il fatto non sussiste? Vediamo. Inter e Milan hanno seguito per anni la prassi di scambiarsi brocchi e primavera a base di plusvalenze. Solo che è intervenuta la legge ad personam, secondo la consuetudine cara al Presidente rossonero dimissionario in data 8 Maggio 2008 in ragione dell’assunzione della carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Adriano Galliani (vicepresidente del Milan), Rinaldo Ghelfi (vicepresidente dell’Inter), Mauro Gambaro (dirigente inter) sono stati prosciolti perché il fatto, che sussiste eccome, non costituisce reato, prevedendo la nuova legge tempestivamente approvata il 19 agosto 2003 sul falso in bilancio il dolo specifico non riscontrato. Inoltre il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere per le imputazioni relative al bilancio 30 Giugno 2003, perché l’azione penale non poteva essere esercitata per essere il reato presupposto anteriormente prescritto. Il decreto salvacalcio ha salvato l’inter per 319 milioni, il Milan per 242 milioni, la Roma per una cifra stimata di 234 milioni, la Lazio per 213 milioni, il Parma per 180 milioni, la Juve per 0 (zero) centesimi. Come sarebbe a dire? Sarebbe a dire che la Juventus non ha mai usufruito, perché non ne ha mai avuto bisogno, del decreto salvacalcio. Così come non ha mai praticato la tendenza a svendere il brand. Che pure potrebbe procurarle in qualsiasi momento, chiavi in mano, la ragguardevole cifra stimata di duecento milioni di euro da spendere sul mercato. Particolare che unito allo stadio di proprietà, la ricollocherebbe di fatto al rango che le spetta di diritto. Luciano Moggi, Antonio Giraudo (per entrambi erano stati chiesti 3 anni), Roberto Bettega (2 anni) non hanno gonfiato i bilanci della Juventus, né si sono resi colpevoli di infedeltà patrimoniale (non si sono arricchiti illecitamente). Ma la Juventus è stata rivoltata come un calzino per le uscite societarie a partire dal 2002. Il fatto non sussiste, il dolo non sussiste, la prescrizione nemmeno. Nessun illecito. I dirigenti della Juventus erano stati lodati dalla stampa estera per il modo nel quale dirigevano una delle squadre di calcio più forti del mondo. Palazzi dunque deferisce Inter, Milan e Sampdoria, Genoa, Reggina e Udinese per la contabilizzazione nel bilancio delle plusvalenze fittizie riguardante il periodo dal 2003 al 2005. Nel giugno 2008, in piena distrazione da europei, le prime tre squadre vengono giudicate per la violazione dell’art. 8 comma 1, dove si dice che “costituiscono illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale e ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti...”. Sanzione prevista: ammenda con diffida. Viene invocato e accolto il patteggiamento davanti alla Disciplinare (art. 23 Cgs). La stessa sorte non tocca a Genoa, Regina e Udinese, per le quali interviene l’aggravante “plusvalenze fittizie finalizzate a far apparire perdite inferiori a quelle reali per ottenere l’iscrizione al campionato” (stagioni 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006), che fa scattare sì l’art. 8, ma al comma 4. Sanzione minima prevista: 1 o più punti di penalizzazione in classifica. Con buona pace del PM Nocerino, che aveva ipotizzato per l’Inter la stessa aggravante. Giorno 1 luglio 2007 vengono apportate le modifiche al Codice di Giustizia Sportiva, con l’introduzione degli articoli 23 e 24, che prevedono il patteggiamento (I soggetti deferiti possono concordare con la Procura Federale l’applicazione di una pena ridotta che viene poi passata al vaglio della Commissione Disciplinare. Art. 23, applicazione di sanzioni su richiesta delle parti) e la possibilità di dichiararsi pentiti (In caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione per la scoperta di violazioni regolamentari gli organi giudicanti, su proposta della Procura Federale, possono ridurre le sanzioni previste. Art. 24, collaborazione degli incolpati). Morale degli onesti: prescritti e patteggiati. Genoa, Reggina e Udinese pure pentite. Il Milan, che l’aveva già fatta franca nel 2006 col preservativo Meani di beccantiniana memoria, la scampa anche stavolta. La Sampdoria ringrazia. Un’occasione persa, ma solo per la giustizia. Il processo di calciopoli era stato condotto in maniera esemplare per inaugurare l’era del calcio pulito. Due anni sono bastati per rendersi conto che non era vero. Questi fatti, che Carraro identifica come ostici per i tanti Renzo Tramaglino e Lucia Mondella che siamo noi tifosi e i giornali e le televisioni evitano accuratamente, perché impauriti dal calo delle vendite e degli ascolti, sarebbero a mio avviso da porre all’attenzione e al giudizio complessivo delle vicissitudini del calcio italiano più delle tante chiacchiere intercettate. Anche se qualche telefonata interessante è sfuggita nell’estate del 2006. E non era Moggi che parlava.
|